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lo spazio dell'arte: il Grande Cretto di Gibellina
Un velo bianco si stende sul crinale della collina che un tempo ospitava un paese che ora non esiste più. Una garza impalpabile che avvolge un'enorme cicatrice impressa nella terra. Il bianco, colore non colore, moltiplica la luce e illumina questo spazio silenzioso e maestoso come un tempio greco.
Nella notte tra il 14 e il15 gennaio 1968 un forte terremoto distrugge la Valle del Belice. Tra i paesi completamente cancellati dal sisma c'è Gibellina. Vengono chiamati artisti di fama internazionale per dare un contributo artistico alla memoria di questo luogo: uno di loro è Alberto Burri. Quando vede quel che resta di Gibellina nel 1981, rimane colpito dall'entità del disastro, e ha l'intuizione eccezionale di trasformare quel cumulo di macerie in un monumento in perpetuo ricordo di quell'evento drammatico.
Attratto dalla ricerca della bellezza e dall'equilibrio della forma, Burri coglie in quell'ammasso indistinto di detriti l'aspetto estetico, e plasma quei tristi resti in accumulazioni che ricordano gli isolati del preesistente agglomerato urbano. Nessuno meglio di lui, che aveva dedicato tutta la sua ricerca artistica ai materiali poveri come il legno, la sabbia, il ferro, i sacchi di juta, sarebbe riuscito a vedere in quel mucchio informe di frammenti di vita uno schema ordinato. Tra le sue opere più famose ci sono le serie dei “cretti”: superfici di un certo spessore ottenute applicando a un supporto un impasto di invenzione dell'autore (solitamente bianco o nero), che lasciato essiccare, produceva delle crepe simili a quelle di un terreno molto argilloso esposto a lunghi periodi di siccità.
Nasce così l'idea di trasformare Gibellina in un grande cretto. Burri definisce uno spazio quadrato come fosse una tela, compatta le macerie in cumuli alti circa un metro e mezzo, li spiana e li divide con dei solchi che rappresentano le fratture della terra, le strade di Gibellina e le ferite provocate dal dolore della morte. Infine, ricopre tutto con una colata di cemento armato. Non rimuove i resti, ma ne fa un luogo altamente spirituale in cui la materia convive con la trascendenza. Burri dà ordine alla violenza distruttrice e al caos che ne deriva, e vi trova la forma della bellezza che sublima il dolore. E' un'opera tragica che ripete all'infinito il trauma generato dalla scossa di terremoto.
Il velo di cemento bianco nasconde alla vista le macerie, le copre e le protegge, mentre espone con compostezza la profonda ferita nella terra e la evidenzia con l'accecante luminosità del bianco. Preserva per sempre la materia, gli oggetti e il ricordo e mostra senza ostentazione la profonda cicatrice, indelebile lascito del sisma.
Camminare tra le fratture del Grande Cretto è come ripercorrere le strade del paese, immergendosi nel labirinto dei propri pensieri, perdendosi nell'intrico delle sue ramificazioni. Un luogo in cui l'assenza di elementi perturbatori, voluta fortemente dall'artista, è un invito al ricordo e alla meditazione guidati solo dai suoni della natura circostante.

Il Grande Cretto di Gibellina ha avuto una gestazione lunga che ha richiesto trent'anni per essere completata. Ora è la più estesa opera di land art del mondo (circa 90.000 metri quadrati) e, a differenza di molte di esse, non è effimera e temporanea ma persiste sul territorio come un tatuaggio della memoria.
I protagonisti sono lo spazio e il tempo. Lo spazio della città definisce i confini dell'opera, e la città stessa è la materia da ricomporre per trasfigurare la lacerazione in opera d'arte senza l'aiuto di figure e colori: solo la celebrazione pura della materia. Il tempo, perchè Burri usa anche in questo contesto, materiali che una volta plasmati dall'artista, vivono una vita propria, si modificano nel tempo, cambiano forma, creano nuove screpolature e fessurazioni indipendenti dalla volontà dell'artista. Il sole della Sicilia continua l'opera di Burri crepando e fratturando il cemento, cambiandone il colore, generando movimenti così come il terremoto genera spaccature nella terra . Un'opera in movimento in cui la materia è la protagonista.
Il Grande Cretto è il compendio della vita artistica di Burri. E' come entrare in uno dei suoi quadri e camminarci dentro. Le macerie e il ricordo delle persone che lì hanno vissuto, sono l'opera d'arte stessa custodite e protette come in un sancta sanctorum in perpetuo dalla colata di cemento. Un monumento gigantesco ma discreto che si fonde silente nel paesaggio. Pura materia che diventa essa stessa opera d'arte.
E' il calco in gesso per una maschera funeraria antica che immortala per sempre il volto del dolore.